La farmaceutica italiana – in larga parte "figlia" delle multinazionali – è una realtà economica: 26 miliardi di valore, 174 fabbriche, 63.500 addetti. Ha ragione il pre sidente dell’associazione appena rieletto, Scaccabarozzi, nel dire che il settore è una leva di sviluppo, non un costo.
Ma la crisi colpisce: 11.500 posti di lavoro in meno (soprattutto informatori) in 6 anni, preoccupano. La farmaceutica è comunque un costo per lo Stato: 14 per cento della spesa sanitaria, anche se la più bassa in Europa e in calo del 3 per cento da sei anni. Per stare al passo Farmindustria chiede meno burocrazia, più efficienza e tempi rapidi per l’immissione di nuovi medicinali nel mercato. Le stesse richieste degli ultimi anni, in pratica, però legittime per chi deve investire.
Ma sono sempre rimaste lettera morta. Perché? Forse gli industriali del farmaco sono visti come i "ricchi", quelli che sfruttano il bisogno di salute delle persone? Difficile dirlo. Tuttavia la vicenda (raccontata da Salute martedì scorso) dei due antitumorali prodotti da Roche e Sanofi, in vendita a totale carico dei cittadini per 6 mila e 4 mila euro, non giova certo all’immagine delle industrie.
Le cure anticancro non possono essere un privilegio per pochi.
Guglielmo Pepe – 9 luglio 2013 – la Repubblica
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A colloquio con Stefan Oschmann, Ceo worldwide dell’azienda tedesca